Ludwig

Heart speaks to heart


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L’Esperienza

Colui che conosce i propri peccati

è più grande di colui che con la preghiera risuscita un morto.

Colui che per un’ora piange su se stesso

è più grande di colui che ammaestra l’universo intero.

Colui che conosce la propria debolezza

è più grande di colui che vede gli angeli.

Colui che, solitario e contrito, segue Cristo

è più grande di colui che gode il favore delle folle nelle chiese.

Isacco il Siro


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Tempo opportuno

«Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre».

(Lc 7,15)

 

Quello che mi colpisce in questo passo non è tanto il richiamare alla vita un ragazzo morto, quanto il restituire il redivivo alla madre.

In effetti non penso che abbia molto senso che qualcuno possa vivere indipendentemente dagli altri: la vita che mi viene donata non è solo per me, ma è un dono per gli altri, dono che viene direttamente dalle mani di Dio.

Il passaggio dal peccato alla Grazia è sempre una restituzione ai fratelli, a chi, per primo, ci ama in maniera più autentica e profonda.

In questi giorni di campo tanti si sono seduti a parlare e molti sono stati restituiti alle proprie famiglie con un pizzico di vita autentica in più.

Ritornato nella mia casa, anche io vengo restituito al mio ambiente con un briciolo di consapevolezza in più sulla mia vita interiore, tra ragnatele, polvere e spiragli di luce. Certo, a volte rimangono incomprensibili determinati avvenimenti, ma il tempo e la pazienza appartengono a Dio soltanto, mentre a me tocca vivere la pazienza in attesa del tempo opportuno.


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T F R

«Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio».

(Mc 12,17)

Se la parola “Cesare” la sostituiamo con la  parola “peccato”, forse tutto diventa più chiaro e meno oscuro.

Il tributo a Satana è il peccato: lui, che è il Cesare di questa terra, riscuote quest’unico salario che, all’apparenza, appaga ogni nostro desiderio, ma il cui vero volto rischia di essere quello della disperazione.

L’unico cuneo tra peccato e disperazione, tra Satana e morte rimane la speranza in un Dio che mi vuole in piedi e non prostrato nella polvere del dolore o, peggio, nel fango della mia miseria.
È
la speranza che nasce dalla consapevolezza che noi siamo di Dio e che, dunque, siamo chiamati a dare in tributo noi stessi a Dio.

Così come siamo.

Senza sconti o sopravvalutazioni.

È qui che la mia speranza affonda le sue radici per trovare il nutrimento necessario per crescere, svilupparsi e portare molto frutto. È questa la strada che porta alla serenità del cuore e alla vita vera, la strada che sembra difficile solo perché è diametralmente opposta a quella del peccato, ma il cui traguardo è molto più vicino di quello che pensiamo e molto più bello di quello che ci aspettiamo.

E non ci sono vie di mezzo o scorciatoie: queste appartengono al Cesare della morte, mentre al Signore della vita possiamo offrire un sentiero lungo quanto la nostra vita, segnato dalle orme dell’amore.