Ludwig

Heart speaks to heart


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Un po’ di galateo (in questo Giovedì Santo 2015)

Quando siedi a mangiare con uno che ha autorità,
bada bene a ciò che ti è messo davanti.

Proverbi 23,1

Penso che una delle esperienze imbarazzanti per chi non ha molta dimistichezza, è quella di sedersi a tavola per qualche festa importante e trovarsi davani una quantità semismisurata di posate e bicchieri. Le domande partono in automatico all’interno del cervello, dissimulando goffamente un certo imbarazzo: con quale posata inizio? qual è il bicchiere dell’acqua? e quello del vino…?

Una regola molto pratica è quella di guardare come fanno gli altri più “esperti” ed agire di conseguenza: nel comportamento dei più sta la normalità (di durkheimiana memoria) in cui mi posso rifugiare con un minimo di serenità sul giudizio altrui.

Se questo è vero per una cena importante, quanto più può esserlo davanti all’Ultima Cena dove mi siedo davanti a Colui che è Autorità. Il capotavola mi spiega con i gesti, con la vita, con tutta la sua vita come ci si comporta in quella Cena e quali sono le regole autentiche di quel sedersi insieme, di quell’inginocchiarsi come uno schiavo davanti agli uomini:

Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.

Gv 13,2-5

Ecco che il galateo secondo gli uomini è scardinato e la cosa crea imbarazzo oltri ogni dire, tanto che Pietro rimane imbarazzato: mica si comporta così una persona importante! tutt’altro! dovrebbe essere l’esatto opposto!

Ed invece Gesù spiega come si sta a quella tavola, quale sia il punto di vista di Dio:

14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.

Gv 13,14-15

E non credo che lasci spazi ad ulteriori imbarazzanti quanto maldestre interpretazioni.

charlie-brown vita


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Le chiavi di Casa

[Gesù] disse loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. 16Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. 17E Gesù gli disse: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

(Mt 16,15-19)

E’ da un po’ che volevo scrivere una riflessione che mi frulla per la testa almeno da questa estate. Forse è giunto il momento, spinto da “coincidenze” vespertine…

Il brano sopra riportato ho avuto, a suo tempo, modo di sviscerarlo per lungo e per largo dal punto di vista esegetico, ma la mia attenzione non si era mai soffermata sulla relazione che passa tra Gesù e Pietro, tra Gesù e me stesso.

Mi è capitato di chiedere a più di qualche ragazzo a che età i suoi genitori gli avevano consegnato le chiavi di casa. Le risposte, naturalmente, sono state molteplici, ma erano accomunate da una costante non tanto legata all’età, quanto alla fiducia.

Penso che sia esperienza comune che le chiavi di casa nostra ci siano state consegnate quando i nostri genitori, ad un certo punto, hanno deciso di avere più fiducia in noi: una conquista che spesso si coniuga col senso di indipendenza e gratitutdine per chi le riceve.

Se questo è vero per noi, non credo che lo stesso si possa dire di Dio.

Di fatto, il Signore non aspetta che abbia fiducia in me per consegnarmi le chiavi di Casa, per un semplice motivo: si fida ciecamente di me perché mi ama e mi conosce meglio di me stesso, al di là delle mie fragilità e debolezze.

No.

Il Signore mi consegna le chiavi di Casa quando sono io a fidarmi di Lui.

E’ questo il paradosso apparente.

Perché alla fine sono io che me ne vado, in un modo o in un altro, via di casa.

Non Lui.

Quando però, come Pietro, riconosco Gesù come unico Signore, è lì che il mio posto, la mia vita si trova realmente con l’unico Padre. E’ lì che si aprono le porte di una vita nuova, i cui cardini sono amore e fiducia. Una vita che trova senso e significato profondo al di là di tutti i miei sbagli, oltre la percezione che posso avere di me stesso e di quanto mi circonda.

Perché è proprio vero quello che scriveva Fedor Dostoevskij:

Amare qualcuno significa vederlo come Dio aveva inteso che fosse.

E chi vede meglio di Dio?

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